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  • Writer's pictureMattia B. Bagnoli

In Libia Vladimir Putin chiude il cerchio, è la diplomazia ibrida

Vladimir Putin ha sempre considerato la caduta e la morte di Gheddafi come uno spartiacque. Di più. Chi ha accesso al suo entourage ritiene che l'epopea libica lo abbia spinto a tornare alla ribalta, spingendo Dmitri Medvedev - all'epoca al Cremlino - a compiere il famoso passo indietro. Poi venne la Siria, e il ritorno di Mosca agli allori militari, per la prima volta impegnata dalla caduta dell'URSS in una missione grande, e non in una guerra di cortile. Ora la Libia. Che a suo modo chiude il cerchio.


Al di là del successo più o meno mediatico dell'iniziativa congiunta russo-turco, resta infatti la validità di una prassi ormai consolidata: da una parte il bastone della 'diplomazia ibrida' del Cremlino (a suon di mercenari, contratti energetici, mezzi bellici) e dall'altra la carota della 'multipolarità' - ovvero la capacità d'intessere rapporti significativi con un ampio spettro di attori, a cavallo dei blocchi tradizionali. Mosca è così tornata a dare le carte. Per ora l'obiettivo non è vincere - in Libia cosa e come peraltro al momento non lo sa nessuno - ma giocare. Avere un posto al tavolo. E ormai Putin, in Medio Oriente come nel Mediterraneo, siede un po' ovunque. Con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan le divergenze non mancano ma il dossier siriano ha dimostrato che Mosca e Ankara sono in grado di trovare intese anche quando puntano su cavalli opposti - che poi è anche il paradosso libico.


Putin, negli ultimi 10 giorni, ha impresso un forcing notevole. Prima l'appello russo-turco di Istanbul, poi l'invito al Cremlino a Merkel, alla quale ha dato il suo appoggio per la conferenza di Berlino (secondo Erdogan il 19 gennaio Putin ci sarà). Infine la recente girandola di telefonate: i vertici degli Emirati Arabi e del Qatar, il premier italiano Giuseppe Conte, il presidente francese Emmanuel Macron e persino il premier indiano Narendra Modi. Una tela intessuta con pazienza e professionalità. Il Cremlino sul campo ha messo gli uomini giusti, come il plenipotenziario per il Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, fine arabista, e Lev Dengov, capo del gruppo di contatto per la Libia, lui stesso di origini libiche - per non parlare dei mezzi: un Tupolev Tu-154M delle Forze Armate russe è stato seguito sulla rotta Mosca-Siria-Bengasi-Cairo-Siria-Mosca alla vigilia del vertice odierno.


Certo, le difficoltà non mancano. Haftar - rivela un report a quanto pare stilato dagli esperti libici di Yevgeny Prigozhin, l'uomo d'affari a cui fanno capo i mercenari della Wagner - si sarebbe dimostrato un vassallo al quanto riottoso (non vuole "rinunciare" alla cittadinanza americana e si tiene stretto il legame con la Francia) e Mosca non è certa della sua fedeltà. Però, grazie a lui, il Cremlino può dire la sua. E nella Libia di domani - come fu per quella di ieri - la Russia ci sarà. Resta solo da capire quanto.


NB: ARTICOLO ANSA

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